La D.ssa Francesca Mameli, ricercatore sanitario e psicoterapeuta della Fondazione IRCCS Cà Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, ci parla dei risultati ottenuti con il progetto di Telemedicina che APM ha offerto ai propri soci
Sono ormai diversi anni che si discute sulle potenzialità della telemedicina ma abbiamo dovuto aspettare lo stato di emergenza causato dalla pandemia Covid-19 per comprenderne la sua essenza. Capire l’utilità di offrire e ricevere assistenza anche quando si è impossibilitati a presenziare fisicamente ad una visita medica è stato di grande importanza sia per i clinici che per i pazienti.
Sul territorio milanese abbiamo assistito ad un grande fermento, le diverse realtà pubbliche, private ed associative hanno messo in campo numerose iniziative per offrire supporto a distanza. In questa cornice nasce il progetto di telemedicina promosso da AMP Parkinson Lombardia. Grazie alla grande energia e determinazione del direttivo dell’Associazione il progetto, ancora in una fase pilota, è diventato operativo in tempi rapidi proprio per offrire supporto ai soci in un momento di così grande difficoltà.
Mi ha fatto molto piacere poter partecipare a questa esperienza con l’Associazione perché credo che mai come in questo momento fosse importante sostenere i pazienti a livello psicologico sia per lo stress emotivo conseguente alla pandemia, sia per le grandi difficoltà di accesso alle cure. La situazione contingente ha inoltre offerto la possibilità di testare l’utilità di un intervento clinico a distanza, argomento dibattuto da anni ma che ha trovato scarsa applicazione fino ad oggi. Ho contribuito come psicoterapeuta nell’offrire supporto attraverso teleconsulti psicologici ed in questo “spazio virtuale” ho avuto occasione di ritrovare pazienti noti cosi come di conoscerne ed incontrarne di nuovi. Stress, senso di solitudine, isolamento e preoccupazione per il futuro sono stati gli aspetti maggiormente presenti nei pazienti durante l’emergenza Covid-19. Un vissuto condiviso da molti ma che è apparso amplificato nelle persone che convivono con una malattia cronica in cui le necessità di supporto sono molteplici ed il distanziamento sociale a cui si è stati costretti ha reso la quotidianità più faticosa. Le preoccupazioni legate alla gestione della malattia hanno riguardano la possibilità di accesso alle cure, la reperibilità dei farmaci, il non poter usufruire delle attività riabilitative motorie settimanali e la scarsa condivisione del proprio vissuto con altri pazienti o figure di cura di riferimento. La percezione di fragilità e vulnerabilità che produce la malattia ha amplificato in alcuni le paure di contagio con ricadute sull’ansia, l’insonnia e l’irritabilità.
Credo che sebbene “l’incontro” fosse virtuale, superata una prima fase di adattamento al nuovo strumento, abbia permesso un confronto ed uno scambio autentico tra clinico e paziente.
I risultati sull’indice di gradimento dei pazienti e dei clinici coinvolti, raccolti dalla piattaforma web e dall’Associazione, ci mostrano un atteggiamento favorevole ed interessato all’iniziativa e la volontà di sostenerla. Si rileva tuttavia un’unica ma importante criticità, infatti la potenziale digitalizzazione delle attività cliniche, sebbene rappresenti un valore aggiunto sia per gli operatori della salute che per i pazienti, esclude purtroppo tutta quella fetta di popolazione che ha scarsa dimestichezza con l’uso di tali strumenti. Questo aspetto merita una riflessione al fine di individuare le possibili soluzioni per raggiungere un numero sempre maggiore di persone.
Abbiamo pertanto deciso con i vari attori di questa iniziativa di individuare le risorse per poter estendere questo progetto a più persone e per un periodo di tempo più lungo in modo da valutare quantitativamente la fattibilità e l’efficacia degli interventi terapeutici a distanza.
Un ultimo aspetto su cui riflettere è che, indipendentemente dalla situazione contingente legata allo stato di emergenza causato dalla pandemia, la telemedicina ed il teleconsulto possono rappresentare uno strumento di grande utilità per tutti coloro che presentano delle disabilità motorie ed hanno pertanto delle difficoltà a recarsi autonomamente alle visite mediche. Uno studio, pubblicato da Dobkin nel 2013 sulla rivista Journal of Geriatric Psychiatry and Neurology, segnalava una maggiore difficoltà di accesso alle cure psicologiche da parte delle persone con malattia di Parkinson per due ragioni: la prima dovuta allo scarso riconoscimento da parte del clinico e del paziente della sofferenza psicologica, la seconda invece dovuta alla disabilità motoria che comporta una ridotta autonomia negli spostamenti. In questo contesto credo che la possibilità di “incontrarsi” online permetterebbe ai pazienti non solo di organizzare autonomamente le proprie cure ma anche di facilitare l’accesso ad un più ampio ventaglio di possibilità terapeutiche.