Cari amici,
Ci fa piacere ricordare a tutti che, oltre a festeggiare il 25° compleanno di A.P.M. Parkinson, quest’anno abbiamo il piacere di un altro festeggiamento perché ad arricchire il campo delle nostre attività è nato il tanto desiderato Gruppo di lettura di cui pensiamo tutti ne siano a conoscenza. Ne approfittiamo per darne l’annuncio ufficiale perché il neo-nato ha compiuto due anni e gode di ottima salute avendo avuto come madrina la Regina d’Inghilterra. “La sovrana lettrice” di Alan Bennett non ci ha deluso, anzi ha cercato di trasmettere l’amore per la lettura a chiunque ha incontrato sul suo cammino e con la sua ironia ha dato anche a noi la forza di iniziare un’attività molto importante per il gruppo.
Abbiamo già letto e commentato un nutrito numero di romanzi e compilato un elenco di libri preferiti.
E proprio dalla lettura di uno dei libri di Kent Haruf “Le nostre anime di notte” sono stata colpita da come viene vista la vecchiaia e la solitudine e mi sono ritrovata a pensare che noi diamo poca importanza al fenomeno “vecchiaia” tutti presi dal nostro Mr. Parkinson dalla prima sveglia del mattino all’ultima levodopa della buonanotte.
Ma la vecchiaia e il P., se ci pensiamo bene, hanno molte affinità.
Così sull’invecchiamento (scrive Silvio Garattini): “…raggiunta una certa età, senza l’ausilio degli occhiali è più facile che passi un cammello attraverso la cruna di un ago piuttosto che il filo con cui vorremmo riattaccare un bottone. Con gli anni diventa sempre più difficile distinguere fischi da fiaschi e, una volta che ne siamo venuti a capo, nel frattempo abbiamo perso per strada il significato complessivo di ciò che ci era stato detto.
Al mattino, guardandoci allo specchio, vediamo i nostri capelli sempre più bianchi e rughe sempre più profonde, la rincorsa all’autobus in arrivo ci lascia con il cuore in gola…per non renderci conto del declino cognitivo, dell’insorgenza di malattie croniche…”(Invecchiare bene, Edizioni LSWR pp.1-2-31)
Queste esperienze colpiscono tutti noi se viviamo abbastanza a lungo.
Sia nella vecchiaia che nel Parkinson è presente un senso di solitudine quando ci rendiamo conto dei cambiamenti a cui andiamo incontro. La solitudine è un sentimento che prima o poi tutti proviamo quando la nostra vita viene scossa da grandi cambiamenti: pensiamo a quando dobbiamo affrontare una malattia, alla morte di una persona cara, ma anche a una diagnosi di Parkinson. La solitudine ha un significato diverso per ciascuno di noi. Nessuno può vivere in solitudine per lunghi periodi senza sentirne le conseguenze quando la paura e l’isolamento ci impediscono il dialogo con gli altri e ci rinchiudiamo in noi stessi.
Come scrive J. Michel Quinodoz, (La solitudine addomesticata, Borla, 2009) Occorre convivere, “addomesticare la solitudine”.
Si può compiere il passaggio da un senso di solitudine a volte ostile e disperante a una solitudine addomesticata, base della fiducia nella comunicazione con se stessi e con gli altri (p. 17).
A proposito del bisogno di creare legami…
Così chiede il Piccolo Principe:
“Che cosa vuol dire addomesticare?”
E’ una cosa da molto dimenticata, disse la volpe. Vuol dire “creare dei legami”
Creare dei legami?
Certo, disse la volpe. Tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo…
(Antoine De Saint-Expery, Il Piccolo Principe, pp. 91-92).
La solitudine addomesticata può diventare così mezzo di comunicazione con se stessi e con gli altri.
Marisa Riffaldi
Per approfondire, leggi anche l'articolo “Il Parkinson e la vecchiaia”.