Ma quanto dura questa pandemia?
Pensavo che fosse questione di un mese o due e invece è passato un anno in questa strana modalità chiusa e che limita la socialità.
Il mio lavoro poi è fatto di relazioni, lo scelsi per questo più di 30 anni fa: fisioterapista e poi insegnante Feldenkrais e poi operatrice di Somatic Experiencing.
Mi piace entrare in contatto con la gente, sentirne le difficoltà e le risorse e mettermi a disposizione per esplorare con loro nuove possibilità.
Il movimento è sempre stata la mia passione, così come cantare in coro.
Non mi sono mai iscritta in palestra e non sono per nulla una sportiva.
Del movimento mi piace l’esperienza del sentire, di esplorare, di lasciare emergere nuove consapevolezze e attraverso queste superare le difficoltà.
Il metodo Feldenkrais in questo è eccellente: mai in cerca del limite ma piuttosto della ricchezza dell’essere umano.
Se non posso farlo lo immagino. Ah, la forza meravigliosa dei neuroni a specchio!
Moshè Feldenkrais non poteva sapere che gli scienziati avrebbero dato un nome così azzeccato a quel fenomeno neurale che lui già usava nel suo metodo.
Chissà cosa si sarebbe inventato Moshè in questi mesi così difficili.
Io non avrei mai pensato di lavorare online con i miei gruppi perlopiù formati da persone che, per età, sono lontane dal mondo digitale.
Eppure l’ho fatto. Era troppo tempo, sentivo di poter dare il mio contributo di sostegno anche a distanza.
Così ho iniziato a mandare su whatsapp degli audio di lezioni che avevo registrato negli anni, contando sull’onestà della mia gente: non diffondete, è il mio lavoro e non è stato soggetto a quel processo lungo di cesello e miglioramento che precede la pubblicazione.
La richiesta era che ciascuno praticasse le lezioni liberamente durante la settimana, per poi parlarne in chat e “sentirci insieme”. Così abbiamo fatto.
Non bastava, così ho cominciato a registrare delle nuove lezioni, per me un compito enorme, nuovo.
Dovevo immaginare le persone muoversi seguendo le mie indicazioni, dovevo immaginare quando fermarmi, quando ripetere le istruzioni cercando parole diverse, ma soprattutto mi mancava osservare e interagire con quella creatività che porta le persone a interpretare a proprio modo il movimento e grazie alla quale io spesso adatto e modulo la lezione. Ogni lezione in presenza, anche se sullo stesso argomento, è diversa in ciascun gruppo.
Nel metodo Feldenkrais si dice: la seconda cosa più importante sono le istruzioni, la prima però è ciò che sentite che va bene per voi.
Per un po’ è andata così, inviavo una lezione audio alla settimana. E di nuovo non bastava. Avevo bisogno di vedere la crescita delle persone, lo svilupparsi guidato di ogni funzione: girasi sul fianco, allungare un braccio, e così via. Connettermi con loro per sentirli e capire insieme a che punto siamo, come va.
Così ho deciso: proviamo zoom. Funziona. Non è la stessa cosa che in presenza ma non avrei creduto che fosse così utile.
Le persone sono a casa loro, qualcuno a terra, qualcuno sul suo letto o sulla sedia per certe lezioni. Io le vedo e le sento! Sono entrate nei gruppi persone che abitano lontano dal mio studio e da Milano. Probabilmente quando riprenderemo in presenza, speriamo presto, manterrò questa opzione mista, con qualcuno online.
Lascio i microfoni aperti, se da casa arriva qualche miagolio di troppo (abbiamo scoperto che i gatti amano Feldenkrais, o forse i loro padroni sdraiati così quieti) rendo muto quel microfono.
Le lezioni sono silenziose ma mi piace che ci sia lo spazio per un breve commento o una piccola domanda.
Ogni tanto mi chiedo come arriva la mia voce on-line. In presenza la modulo, nel tono, nel ritmo: uso il mio respiro e la mia calma. Insomma alcune criticità ci sono, è innegabile, però non abbiamo interrotto il nostro processo di miglioramento. Io, l’insegnante, mi sento meno isolata e da quanto mi viene riportato è così anche per i miei allievi. Si cresce insieme, nella consapevolezza. E allora, meno male che zoom c’è.
laura