Storie scritte da noi

La storia di Lucilla

 

testimonianze lucillaUna donna decisamente fuori dal comune che sa essere un esempio di coraggio e di positività: Lucilla Bossi, laureata in Filosofia, è Presidente di Parkinson Italia (ONLUS), confederazione che riunisce 23 Associazioni Parkinson distribuite su tutto il territorio nazionale da Bolzano a Palermo. Ha 36 anni quando si manifestano i primi sintomi. La diagnosi verrà fatta solo tre anni più tardi.

 

Lucilla, vuoi raccontarci la tua storia?

Al momento della diagnosi non avevo nessun disturbo a parte un leggero impaccio a una mano, e fisicamente ero in forma splendida. Difficile credere di avere una malattia così grave.

 

“Incassare“ la diagnosi di Parkinson è stato un processo complesso nel quale si sono alternati vari tipi di risposta emozionale, dalla più nera disperazione al puro terrore, ma alla fine ha prevalso una specie di sbruffoneria (o forse potremmo chiamarlo un ottimismo della disperazione). Avevo 39 anni ed ero piena di energia, di sogni, di progetti. Avevo un bambino ancora piccolo. Io volevo VIVERE, non diventare un’invalida! E se potevo riuscire a credere di avere il Parkinson non ero assolutamente disposta a credere che Dio mi avesse abbandonata e se Dio non mi aveva abbandonato in un modo o nell’altro ce l’avrei fatta. Molto probabilmente per il rotto della cuffia ma me la sarei cavata Quello che io veramente non volevo era che il Parkinson fermasse la mia vita e se oggi mi guardo indietro posso ben dire che non solo non l’ha fermata, ma anzi – seppure attraverso momenti di grande sofferenza psichica - le ha dato una profondità e un’intensità che l’hanno arricchita enormemente.

 

Quale è stata l’evoluzione della malattia?

Nonostante le mie preghiere la malattia era andata peggiorando anno dopo anno e nel 1998 pesavo 39 chili e oramai passavo direttamente da un forte tremore a violente discinesie. Non avevo più un attimo di pace. Fino a quando un giorno, che non dimenticherò mai, in casa di un’amica m’imbattei in una mia antica conoscenza che io ricordavo squassata da movimenti involontari molto forti: sotto i miei occhi allibiti questa donna - che si era da poco sottoposta a DBS (Deep Brain Stimulation) - stava bevendo una tazza di the, il piattino in perfetto equilibrio nella mano sinistra fermissima, mentre con la destra, altrettanto ferma, portava la tazza alle labbra. Ogni traccia della malattia era sparita. Vederla e decidere che anch’io mi sarei fatta operare fu tutt’uno.

Fui operata nel giugno del 1998 a Zurigo dal prof. Jean Siegfried e fu una vera rinascita: spesso non ci si accorge neanche che sono malata. E questo per me ha significato tantissimo perché il sentimento della diversità è duro da sopportare! La DBS mi ha regalato una parvenza di normalità che è il mio bene più prezioso. Non sentirmi così tanto diversa, diversa, sì, ma solo un po’, è un’esperienza fantastica.

Ringrazio il Cielo e spero che duri.