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Il Parkinson e la vecchiaia

Il Parkinson e la vecchiaia

 

Siamo tutti sulla stessa barca!

Ho trovato un vecchio articolo su l’Espresso (21 maggio 2017, colloquio con Massimo Ammaniti di Emanuele Coen), ho letto un libro della psicoanalista ginevrina Danielle Quinodoz (“Invecchiare, una scoperta” Borla edizioni, 2009) e fatto alcune considerazioni).

Presi dall’assillo del nostro Parkinson diamo per scontato o ci dimentichiamo che siamo anche anziani (o vecchi, o persone di una certa età, della terza o quarta età).
La vecchiaia è inevitabile, il Parkinson, no. Entrambi ci fanno paura, hanno una connotazione negativa e vorremmo dimenticarci sia dell’uno che dell’altra. Ma sembra invece che sia importante parlare della vecchiaia come è importante parlare del Parkinson perché esserne consapevoli ci rende più forti.

Iniziamo dalla vecchiaia: nell’articolo di Coen che ho citato si chiarisce l’importanza dell’accettazione dell’età che avanza perché “ essere a contatto con i propri pensieri, saperli elaborare, è una attività fondamentale che ci accompagna nel corso degli anni e la vecchiaia è un periodo particolarmente fruttuoso per ritrovare il filo della propria vita, scoprire il desiderio che ha mosso la nostra esistenza” e – cosa molto importante per riallacciarci a noi: “l’accettazione dell’età che avanza genera riflessi positivi sul piano psicologico e anche sul cervello”. Importante per restare giovani è la curiosità, non chiudersi nelle proprie abitudini, prendersi cura del proprio aspetto, fare attività fisica (penso a quanto sia importante per noi), scrivere per far rivivere al di fuori di sé i propri ricordi e poi l’investimento affettivo che rende la vita più ricca.

Danielle Quinodoz nel suo libro “Invecchiare, una scoperta”, forse un po’ anche per consolarci, ci parla del lavoro di invecchiare “come l’occasione per scoprire come amarsi ed amare meglio” (p. 8).
Come fare?

Ricostruire la propria storia interiore, per darle un significato e considerarla come un tutto unico costituito dagli elementi passati sia quelli felici che quelli più dolorosi e prepararsi così al futuro anche se non sarà di lunga durata. Importante è riuscire a integrare i ricordi dandogli un posto e vivere il nostro presente inserito nel nostro passato. Importante diventa il lavoro della memoria. Non possiamo ricordare tutto e una buona memoria è sia nel ricordare quello che ci è utile, sia nel dimenticare quello che è meno significativo.

Non voltar pagina - dice Danielle Quinodoz, o meglio “voltare la pagina, sì, ma dopo averla letta”. Quando leggiamo un libro, ogni pagina la colleghiamo a quella precedente e riorganizziamo l’insieme prima di passare alla pagina successiva che modificherà quella letta in precedenza e questo continuo andare e venire ci permetterà di capire quanto stiamo leggendo. “ Per ogni persona, il lavoro di invecchiare è legato a questa possibilità di giocare con i ricordi per ricostruire nel presente la propria storia interiore” (p. 36).

Anche se si sa, dal punto di vista scientifico, che il volume del cervello tende a diminuire con l’età soprattutto per quanto riguarda l’attenzione e la memoria, si sa anche che esistono delle compensazioni e degli adattamenti grazie alla plasticità del cervello e che possono formarsi nuove cellule durante tutta la vita. E l’invecchiare può essere un arricchimento invece di un impoverimento. Se si sanno riconoscere le proprie risorse, apprezzare quello che c’è stato di buono nel proprio passato e quello che è buono nel presente, si può essere liberi di pensare al proprio avvenire anche se di breve durata. In generale, il lavoro di invecchiare può diventare quello di interessarsi della propria vita.

Ma nella vecchiaia – e nel Parkinson - è presente un senso di solitudine quando ci rendiamo conto che la nostra vita non può essere vissuta che da noi e nessuno può soffrire al nostro posto e nemmeno condividere (più di tanto) la nostra sofferenza. Ci rendiamo anche conto che il nostro corpo non è più quello di una volta ma può aiutarci- come dice Quinodoz- “il sapore delle piccole cose, il valore affettivo di un oggetto, l’importanza delle persone presenti, lo stupore di fronte alla presenza dell’altro…”
E ancora: l’importanza di mantenere su un piano psichico quello che si è perso su un piano di realtà e arrivare alla scoperta dell’importanza di amare e forse, invecchiare è imparare ad amare meglio (p. 210). Ma è difficile parlare di amare e invecchiare forse perché nel profondo abbiamo un grande desiderio di essere amati e di amare che idealizziamo questo sentimento ed è necessario molto tempo per riuscire a integrare i conflitti che ci agitano come l’aggressività e la tenerezza, la violenza e la dolcezza, il gelo e la fiamma… occorre tutta una vita per imparare ad amare.
Quinodoz conclude il suo scritto riportando come “imparare a invecchiare è scoprire a poco a poco come iscrivere il nostro modo di amare contemporaneamente nei due tempi, l’eternità e il tempo cronologico”.

Occorre riuscire a cogliere l’unità tra il tempo quotidiano dedicato alla cura, alla fatica, alla pazienza necessaria per dare attenzione alle persone amate e nello stesso tempo vivere il rapporto assaporando l’emozione che si prova nel sentire il significato profondo delle relazioni, quello che l’autrice chiama “ l’attimo di eternità”.

Per ritornare a noi, occorrerà ripensare il nostro rapporto con il Parkinson inserendolo all’interno di legami affettivi che ci possano rendere più forti.

Marisa Riffaldi

 

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